...troppo spesso restiamo inerti a guardare la nostra vita che ci scorre davanti come attraverso il finestrino di un treno, troppo pigri o troppo codardi o troppo inquadrati anche solo per tentare di spezzarla, quella lastra di vetro...
come se questa non fosse l'unica vita che abbiamo da vivere.
“Treno locale per Firenze delle ore 6:18 in partenza dal binario due”.
La voce dell'altoparlante echeggiò, meccanica e indifferente, nel silenzio della stazione addormentata. Non vuota, solo addormentata. Perché gente ce n'era, uomini e donne, tutti con gli occhi gonfi di sonno e le bocche mute.
“Potrei dirlo io a te che il locale delle 6:18 è in partenza dal binario due” pensò Fausto.
Erano anni che lui e il locale delle 6:18 partivano insieme dal binario due, dal lunedì al venerdì, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno.
Quel giovedì in cui era rimasto a casa per la nascita di suo figlio il capotreno si era preoccupato, aveva pensato che gli fosse successo qualcosa di grave.
Si, lui il lavoro lo prendeva sul serio, e poi i soldi gli ci volevano tutti, quelli dello stipendio e quelli degli straordinari. Ora più che mai.
Le gambe mosse dall'abitudine guidarono i suoi passi fino al solito posto. Terza carrozza, primo scompartimento lato finestrino.
C'erano già Giulio e Carlo, suoi eterni compagni di viaggio.
Gli piaceva quel posto perché Carlo dormicchiava per tutto il tragitto e Giulio faceva in silenzio le parole crociate.
Non aveva voglia di parlare lui. E di che poi? Di calcio, come Marco e Gino? O di donne, come Luca e Sandro, che erano ancora dei ragazzi e che anche a quell'ora della prima alba si raccontavano storie sboccate e probabilmente mai vissute che li preparavano a sopportare la lunga giornata al cantiere, su e giù per le impalcature con l'agilità di un acrobata ma senza la stessa danzante allegria.
Ecco, il treno stava partendo.
Per tanti anni quel viaggio era stato per Fausto l'unico modo di vedere la vita.
Di vederla attraverso il vetro di un finestrino, non di viverla. Per viverla bisogna dedicarle un po di tempo alla vita, e lui di tempo non ne aveva. Si svegliava alle 5 di mattina e tornava a casa dopo le 7 di sera. Giusto il tempo di mangiare qualcosa e poi via a letto, per ricominciare tutto daccapo il giorno dopo.
E così guardava fuori dal finestrino e vedeva i colori del paesaggio che mutavano, vedeva le luci spegnersi al mattino e riaccendersi alla sera. Vedeva gli altri che facevano colazione al bar, vedeva i figli degli altri che andavano a scuola, vedeva le donne degli altri che si muovevano per le strade. Vedeva la vita degli altri insomma.
Fino a quando un giorno aveva incontrato Sara.
Era giovane Sara. Non era bella, ma quando ti guardava ti faceva sentire l'uomo più importante della terra.
Ed era proprio così che Fausto si sentiva con lei, importante. E felice. E vivo, finalmente.
Nelle ore rubate che passava con lei, Sara sapeva ricompensarlo di ogni sacrificio, sapeva rendergli leggere le menzogne recitate a sua moglie e il tempo negato ai suoi figli.
Ce l'aveva fatta. L'aveva scardinato quel maledetto finestrino. Non era più un inerte spettatore, era il protagonista, e il vincitore, di quel gioco bellissimo e crudele che è la vita.
A questo pensava Fausto, senza più vedere la periferia di Firenze che gli scorreva veloce davanti agli occhi.
“Ho la mia vita da vivere adesso” pensò. E sorrise tra se.
Non pensò Fausto che quel ruolo di protagonista lui se lo stava comprando giorno dopo giorno.
Le richieste di Sara si facevano sempre più frequenti: prima qualche vestito, poi un gioiello, e adesso quell'appartamentino in affitto che si sarebbe mangiato tutti i soldi dei suoi straordinari.
No, a quello Fausto non ci pensava.
E forse, anche se ci avesse pensato, non sarebbe cambiato niente e lui avrebbe continuato a sorridere. Perché tutto ha un prezzo nella vita, Fausto lo sapeva bene. Anche la vita stessa.
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